Le degustazioni di Vinitaly 2016: i 50 anni della manifestazione in 5 vini

DSC_0398Non si può parlare di “Degustazione” perché il termine è riduttivo, non riesce ad esprimere cosa realmente hanno provato gli intervenuti presso la sala Argento del Palaexpo di Vinitaly 2016. Si è trattato di un viaggio attraverso la storia del vino, dove la forza motrice è stata la passione che arrivava diretta dai racconti dei produttori; la passione per la terra, il rapporto tra l’uomo e la vigna, le scommesse fatte negli scorsi decenni, tutti ingredienti per una ricetta straordinaria che ha davvero emozionato i partecipanti.

Le presentazioni spettano al Presidente Nazionale AIS, Antonello Maietta, il quale, dopo aver ringraziato la collaborazione di Gianni Bruno – Vinitaly brand manager – per la realizzazione dell’evento, come un direttore d’orchestra ha dettato i tempi della serata, ma stavolta in 5/5 anziché in 4/4 (per usare una metafora musicale). E’ infatti il 5 il numero conduttore della serata: sono 5 i vini in degustazione proposti come migliori interpreti di stile dei 5 decenni, così come sono 5 i sommelier AIS di grande profilo che hanno avuto il compito di dare voce al vino.

DSC_0332Il viaggio ha inizio a Monforte d’Alba dove Oscar Arrivabene, enologo dell’azienda, presenta il Barolo Percristina 2007 di Domenico Clerico; il 2007 è la prima vendemmia di Oscar, ha un grande valore personale per lui. Una vigna importantissima del ’55 nel famoso Cru Mosconi, dal quale si producono vini da lunghissimo affinamento; oltretutto il 2007 è un’annata molto interessante perché risulta già più approcciabile, infatti è andati in commercio prima della 2006. Prende quindi la parola Ivano Antonini, esordendo con una proporzione enoica: “Monforte d’Alba sta a Barolo come Chambolle-Musigny sta alla Borgogna”. Il terroir è costituito da terreni calcarei grigi che determinano vini con un impronta sapida e minerale; all’olfatto una vena balsamica ben riconoscibile con sentori di eucalipto e mentuccia. Un’annata calda che dona un vino senza alcuna traccia di cedimento ossidativo; in bocca è tenace, l’imponenza viene mitigata dall’acidità e dai tannini molto decisi nell’attacco ma con una chiusura setosa.

DSC_0340Seconda tappa è l’Abruzzo. Siamo in Val Vibrata, più precisamente a Torano Nuovo nell’Azienda Emidio Pepe. Sofia, la figlia di Emidio è felice di esserci per poter raccontare la propria storia, al punto che relazionerà in piedi, così si sentirà più a suo agio, le viene più “naturale”! Ed é proprio di vino e natura che ascolteremo tanto parlare Sofia, del loro modo d’agire dalla vigna alla bottiglia. L’azienda occupa una superficie complessiva di 15 ha e lavora esclusivamente le loro uve. La produzione é costituita da Trebbiano e Montepulciano d’Abruzzo (nel 2010 la prima annata di produzione di Pecorino, un vitigno autoctono marchigiano). Le vigne vecchie, intorno ai 45 anni, sono realizzate con la tradizionale pergola abruzzese o tendone, mentre le nuove, di circa 10 anni, sono a filare; in vigna non viene utilizzato alcun prodotto chimico, solo zolfo di miniera ed acqua di rame. In Cantina l’azienda conta più di 350.000 bottiglie in invecchiamento; dal 1964 ad oggi, quasi tutte le annate sono in vendita. Prende quindi la parola Emidio Pepe, un uomo d’altri tempi, un vero vignaiolo che ama la concretezza e l’esser di poche parole; ci dice che è soddisfatto delle scelte fatte, ed ampiamente criticate, in passato e che i propri vini adesso si facciano rispettare, oltre alla soddisfazione di vedere tre generazioni che lavorano insieme. Il Montepulciano d’Abruzzo Riserva 1997 viene raccontato da Cristiano Cini, un appassionato dei vini Pepe che, riallacciandosi al discorso di Emidio, racconta l’aneddoto accaduto al bar di Torano, nel 1960, dove un tale Don Nicola, avendo saputo della scommessa di Emidio di imbottigliare e porre in cantina, disse che i suoi vini erano “castelli di carta”; oggi si è dovuto ricredere. Andiamo al calice dove si ha un impatto di naso equilibrato con un espressione di frutto con leggere note di tabacco dolce, scatola di sigari; sorprendente l’energia fruttata che rimane nel tempo, in bocca un volume liquido con una leggera soglia di acidità completata dalla freschezza ed una chiusura con un tannino da “uve Montepulciano”.

DSC_0348Dall’Abruzzo ci spostiamo in Toscana, nel Chianti Classico e più precisamente a Panzano per ascoltare il racconto di Giovanni Manetti dell’azienda Fontodi. L’amore per la campagna e per l’azienda portò la famiglia Manetti a trasferirsi, nel 1979, da Firenze a Panzano. Gli anni 80 furono anni molto movimentati per il mondo del vino, basta ricordare lo scandalo del metanolo e la nascita dei supertuscan. Dall’incontro con l’enologo Franco Bernabei la sfida di creare un sangiovese in purezza e così, nel 1981 nacque il Flaccianello. Il racconto del Flaccianello della Pieve 1987 spetta ad Andrea Galanti, profondo conoscitore del territorio che rappresenta come un anfiteatro naturale avente Panzano come protagonista. Il vino alla vista è straordinario; naso con nota ed intensità tipica del sangiovese in evoluzione, terra bagnata, sensazione carnosa, ematica, frutta sotto spirito, note terziarie di ferro, ruggine e pietra. In bocca eleganza con un tannino delicato, armonioso che accompagna la persistenza; una velata sapidità con una retronasale di gioventù. Il sangiovese è un maratoneta che riesce ad esprimersi meravigliosamente alla lunga.

DSC_0359È la volta delle emozioni nelle parole di Chiara Lungarotti nel ricordare lo straordinario lavoro del papà Giorgio che riuscì, grazie al Rubesco, a collocare l’Umbria in alto tra i vini italiani; nei suoi ricordi anche le passeggiate da bimba a piedi scalzi in vigna, ma anche i Vinitaly degli anni 70 trascorsi a studiare agli stand. Passione ed emozione anche nelle parole di Maurizio Dante Filippi nella narrazione del Rubesco Riserva Vigna Monticchio Lungarotti 1977: la poesia della dinamicità in contrapposizione con la lentezza del tempo per il vino; un colore scarico dovuto alle normali precipitazioni del tempo, ma sempre splendido; al naso fruttato, floreale, erbaceo con una prima nota ematica che fa pensare al calore, sensazioni di felce,  comunque mutevole. Al palato ancora ematico, ferroso, con un tannino ancora attivo; un vino che sembra quasi sprecato in abbinamento al cibo, da abbinare ad un libro, da abbinare alle emozioni.

Ultima tappa di questo emozionante viaggio è, non a caso, la regione Veneto, patria del Vinitaly e dell’Amarone. Ed è proprio grazie all’Azienda Bertani che abbiamo avuto l’occasione di degustare l’annata 1967 nel ricordo di 50 di Vinitaly in 5 vini.

DSC_0368Andrea Leonardi, enologo dell’azienda, racconta l’emozione nell’aprire una bottiglia del genere; ripercorre le singolarità dei 4 vini bevuti in precedenza che rappresentano il ritratto di un panorama italiano che si esprime nella tipicità/unicità del territorio. Questa premessa per raccontare lo spirito e la filosofia aziendale Bertani che non è certamente quella di produrre un vino per il consumatore, ma bensì quella di un vino che possa appunto esprimere la tipicità del territorio. L’Amarone Bertani 1967 ci parla attraverso le parole di Ottavio Venditto, visivamente emozionato per il momento magico della degustazione. Un aspetto visivo che fa presagire grandi evoluzioni con colore ematico che ci lascia immaginare un olfatto elegante. Al naso balsamico, caramella all’eucalipto, sensazioni non legate al frutto ma al territorio della Valpolicella; tabacco dolce, menta, frutta sotto spirito, marasca, cuoio, liquirizia, una nota amaricante di spezie e paprika. Al palato un approccio disarmante, entra in punta di piedi con una trama tannica setosa, un’acidità che alleggerisce il sorso con un finale di marasca sotto spirito e mineralità che chiude il cerchio. Un vino romantico che non ha mai perso il suo fascino.

Una scommessa ardua quella di fare una sintesi di 50 anni cercando i 5 vini più rappresentativi di ciascun decennio, ma una scommessa vinta per la qualità dei vini e per il sapiente racconto dei campioni della sommellerie italiana”, queste le parole di Antonello Maietta al termine della degustazione che riassumono in pieno le emozioni vissute.

 

Facebooktwittermail

Danilo Amato

Geometra integerrimo, le "terre" che più gli piacerebbe "misurare" sono le vigne francesi nella Champagne o le straordinarie campagne del Sangiovese; fedele ai numeri, e non solo, non ritiene possibile uscire fuori dagli schemi matematici. Poliedrico e apparentemente tradizionalista, crede con fermezza nelle fonti di energia rinnovabili. Tra le varie strade percorse ha trovato la strada del vino nella lontana edizione di Enopolis, e da allora non ha più abbandonato l'Associazione Italiana Sommelier acquisendo il diploma di sommelier e di degustatore ufficiale. Esperto e preciso nel servizio di sommellerie, collabora con Enonews dal 2013 anche ideando e organizzando eventi come "Calici a Corte" a Brucoli.

Potrebbero interessarti anche...

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.