Rossana Platania: determinazione e coraggio gli ingredienti di ogni piatto

Coraggiosa. È l’aggettivo ideale per descrivere la scelta di Rossana Platania, giovane cuoca catanese, classe ‘77, che ha saputo coniugare la passione per la cucina con l’amore per la Sicilia, terra ossimorica per eccellenza, accogliente e ostile, generosa e avara.

Attenta, concentrata, dedita a lavorare la materia prima. È così che ci appare mentre si muove tra gli arnesi vari. Fa cenno di attenderla un attimo: a comandare sono i tempi della cucina. Riposto il coltello e abbassata la fiamma, ci raggiunge raggiante e pronta a rispondere alle nostre domande.

D: Una laurea in Scienze della formazione, una carriera in ambito amministrativo, tutto accantonato per inseguire una passione. Quando nasce questo amore?

R. Le passioni sono fiumi in piena. Ogni argine è un rimedio fittizio che si limita a rimandare lo straripamento. L’amore per la cucina è nato con me. Sin da piccola stavo ore e ore a guardare i gesti di mia madre davanti ai fornelli. Era un rituale quasi sacro: adoravo osservarla quando maneggiava il cibo, era un’artista e lo è ancora. Non appena mi ritrovavo sola, cercavo di emularla affinché al suo rientro trovasse una mia invenzione culinaria. Ero piccola, non arrivavo nemmeno al piano cottura ma ero intraprendente. A 17 anni ho poi iniziato a lavorare in alcuni locali catanesi come aiuto cuoco, attività che ho svolto in parallelo allo studio universitario. Poi il lavoro in ambito amministrativo: ricordo ancora la sensazione di soffocamento e di insoddisfazione. Così ho mollato tutto e mi sono iscritta al corso professionale del Gambero Rosso. Mi sono detta: o la va o la spacca. È andata.

D: La trinacria ricamata sulla divisa è alquanto eloquente. Quanto incide essere siciliana sulla tua vita e sul tuo lavoro?

R: Incide tanto. La Sicilia rappresenta le mie origini, le mie radici. La Sicilia ha condizionato e condiziona il mio essere pertanto l’ho voluta rappresentare simbolicamente sulla divisa. Dal punto di vista culinario è una delle terre più fertili al mondo. La varietà della materia prima fa invidia a tutti e di questo ne sono orgogliosa. Avere questa consapevolezza mi porta altresì ad essere responsabile nei confronti di ciò che si serve ai commensali. Abbiamo la fortuna di poter andare direttamente dai produttori, scegliere, selezionare e imparare sempre cose nuove in loco. La conoscenza è fondamentale e ti apre tante porte. Credo inoltre che sia giusto non demonizzare ciò che non è a km zero perché i prodotti di qualità esistono anche al di fuori di un certo perimetro. Tutto sta nella capacità del cuoco di scegliere i prodotti giusti e averne cura in fase di manipolazione.

D: Come crei un piatto?

R: Osservare ciò che ho attorno per me è fondamentale. Quando vago per le strade o per i mercati dei posti che visito, sono attratta dai particolari, siano essi colori o profumi, che automaticamente si depositano in testa creando idee. A questo punto non mi resta che correre in cucina e dare forma concreta e tangibile a quelle sensazioni cercando il giusto equilibrio tra dolcezza e sapidità. Nei miei piatti inoltre cerco sempre la stagionalità nel pieno rispetto dei ritmi della natura, vera e unica magistra vitae.

D: Quanto è importante per te la conoscenza del vino?

R: Sto portando a termine il corso di sommelier con l’AIS per gestire al meglio l’accostamento cibo-vino. Per un cuoco, avere la conoscenza dei vini da poter abbinare ad un cibo è una possibilità o meglio una marcia in più. Io credo che sia fondamentale mangiare bene e allo stesso tempo bere bene e aggiungo bere a “stagionalità”, aspetto quest’ultimo che vorrei sostenere in un mio progetto futuro di cui adesso preferisco non parlare.

D: Un piatto a cui sei legata?

R: “Colapesce arritruvatu”. L’ho creato qualche anno fa. È un’esplosione di gusto con prodotti tipici della tradizione catanese. In questo piatto è il cuore che parla perché l’ispirazione viene dall’infanzia quando mia madre cucinava le triglie fritte, il sugo al nero di seppia e i profumi del finocchietto selvatico misto all’arancia. Si tratta di spaghetti di grani siciliani al nero di seppia fatti a mano su una salsa di finocchietto selvatico, un sugo bianco di triglie di scoglio all’arancia e una spolverata di mollica alle erbe di campo. Un piatto intenso che mi rispecchia tanto.

D: Progetti per il futuro?

R: È ancora difficile farsi spazio in un ambiente altamente competitivo e per molti aspetti al maschile. Molte donne rimangono nell’ombra pur avendo talento. Per quel che mi riguarda posso dire che cucino perché è quello che voglio fare. Mi piace trasmettere l’idea che mangiare è anche cultura e non soltanto riempirsi la pancia. Spero di fare il salto di qualità. Il mio sogno nel cassetto? La butto grossa, riuscire ad aprire un piccolo locale e portare la stella michelin a Catania. L’ho detto che l’avrei buttata grossa ( ride). A parte questo sogno, mi auguro di riuscire sempre a mantenere lucida la mia idea di cucina del territorio, avere sempre il coraggio di riscoprire il passato con un ritorno al presente nel rispetto del lavoro artigiano guidato dalle nostre mani e coscienze.

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