Il vino dell’Etna: volano per il vulcano e la Valle dell’Alcantara

Vorremmo iniziare il racconto di una delle affascinanti escursioni compiute in occasione del 51° Congresso Nazionale AIS di Taormina riflettendo sulla traccia dell’evento stesso: “Il vino come volano per tutto il territorio circonstante”.

In questa frase, in realtà, è racchiuso il riassunto della giornata passata con un gruppo di sommelier provenienti da varie regioni d’Italia come l’Emilia Romagna, la Puglia, la Campania e la Toscana.

Per raggiungere il versante Nord dell’Etna abbiamo affrontato un dislivello di circa 1000 mt, partendo da Giardini Naxos (sul livello del mare) per arrivare a Castiglione attraversando la Valle dell’Alcantara.
Ci siamo immersi nella scoperta paesaggistica e storica di tutta la vallata: il fiume Alcantara ci accompagnava lungo i chilometri che intanto percorrevamo; man mano che cambiava la vegetazione, potevamo intuire che si saliva di quota passando dalla bassa valle con gli agrumeti per arrivare alle distese di ortaggi di stagione, frutteti, oliveti, ai noccioleti e ai castagneti di alta quota.
Sorpresi, ammiravamo i resti storici dei vari secoli: Giardini Naxos, prima colonia greca, i diversi castelli e fortezze (o ciò che ne rimane) in cima alle colline che ci circondavano, testimonianze delle dominazioni arabe e normanne, per giungere a più recenti ricordi del periodo fascista impressi nei tanti ponti dell’ormai dismessa ferrovia Alcantara-Randazzo.
Tutta la valle trasudava storia e fascino in una bellissima mattinata di sole.

Arrivati nella cantina di Passopisciaro in contrada Guardiola, siamo stati accolti dalla signora Letizia, che ci ha subito mostrato i terrazzamenti di Chardonnay a ridosso della quota 1000 e i vigneti di Petit Verdot, particolari per la loro alta densità d’impianto, tanto che si è avuta la necessità di far costruire direttamente da una ditta francese una scavallatrice ad hoc che permettesse un’ottima cura dei filari distanti tra loro solo 90 cm.
Il sole illuminava e faceva brillare il manto lavico che ci circondava, formato nei secoli; la colata più recente, quella del 1946 (testimoniata da foto storiche all’interno della cantina che ritraevano una processione degli abitanti per ringraziare Dio per non aver permesso alla lava di continuare a scendere) distruggendo gran parte del territorio della tenuta, ha permesso a Franchetti, fondatore e proprietario della cantina, di seguire il proprio intuito impiantando vitigni francesi come lo Chardonnay (da cui nasce il Passobianco) e il Petit Verdot (che, unito al Cesanese, vitigno laziale scelto appositamente per questo blend, dà vita al vino di punta, il Franchetti, appunto) e verificare che effettivamente riescono ad esprimersi meravigliosamente senza nulla invidiare ai vini francesi.
Facendosi forza sull’esperienza della tenuta Trinoro nella Toscana meridionale, iniziata negli anni ’80 e puntando sulla sua passione per i vini, acquistò nei primi anni del 2000 le tenute sul vulcano siciliano, divenendo uno dei pionieri della viticoltura moderna etnea; Franchetti è il vero patron della azienda Passopisciaro, in lui si racchiudono le figure di enologo, supervisore delle uve e dei vini, ogni decisione che riguarda le sue creature non spettano che a lui.
Lasciati i vitigni adiacenti la cantina, Letizia ci ha guidati verso la contrada Rampante (una delle più alte di proprietà dell’azienda, a circa 1000 mt s.l.m.) il cui vitigno principe è il Nerello Mascalese, autoctono, che sul versante Nord dà il meglio di sé nei vini rossi.
Rientrati in cantina un bellissimo odore di fermentazione ci ha sopraffatti e, mentre gli operai lavoravano alla vinificazione, abbiamo avuto modo di visitare la piccola ma capiente bottaia con i vari contenitori in acciaio, cemento e infine le botti ovali dove riposano solo pochi vini.
Arrivati alla sala degustazione l’idea di cru si è “materializzata” attraverso le tante cartine dettagliate, esposte sui muri, dei versanti dell’Etna e delle sue contrade. La forte valenza che l’azienda dà ai cru è stata di immediata percezione nel momento della degustazione, poiché partendo dall’affascinate ed elegante Passobianco, passando per il Passorosso tradizionale identità del terroir, siamo arrivati alle quattro contrade ognuna con un’espressione del Nerello diversa dall’altra. La lettera impressa nell’etichetta di ciascuna bottiglia, altro non è che l’iniziale del nome della contrada; dalle più basse, la Chiappemacine a circa 550 mt s.l.m. e la Porcaria a circa 650 mt s.l.m., alle più alte, la Sciarianuova a circa 850 mt s.l.m. e la Rampante. Ultimo, ma assolutamente non ultimo, il Franchetti: un blend così corposo e strutturato, ma la cui freschezza sollecita la voglia di degustare un sorso dopo l’altro.
Piacevole e divertente l’iniziativa di un sommelier dell’Emilia che ha proposto vari abbinamenti per ogni vino assaggiato, avvicinando ostriche al Passobianco e vari piatti a base di carne per il resto dei vini rossi; l’occasione così conviviale è stata ulteriormente utile per far conoscere anche nostri piatti tipici siciliani come il “pesce stocco a ghiotta” che abbiamo abbinato al Rampante, dopo che mi è stata “lanciata la sfida”. Dalla spiegazione della pietanza è scaturita la curiosità e la voglia di assaggiarla e questa è stata una grande dimostrazione e soddisfazione per essere riuscita a trasmettere un pizzico di cultura siciliana, sfiorando anche la nostra arte culinaria.

Ad incorniciare questa bellissima esperienza, una foto di gruppo baciati dal sole, che porteremo sempre nei nostri ricordi.

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