Salvo Foti: Etna, il Vulcano che genera il vino “umano”

Ma sì d’Etna vicino, che i suoi tuoni e le sue spaventevoli ruine lo tempestano ognora. Esce talvolta da questo monte a l’aura un’atra nube mista di nero fumo e di roventi |Faville, che di cenere e di pece fan turbi e groppi, ed ondeggiando a scosse vibrano ad ora ad or lucide fiamme che van lambendo a scolorir le stelle; e talvolta, le sue viscere stesse da sé divelte, immani sassi e scogli liquefatti e combusti al ciel vomendo | In fin dal fondo romoreggia e bolle.

Virgilio sembra volgerle lo sguardo in tempi recenti, d’altronde l’Etna muta con ritmi che misurano un senso del tempo che ingombra lo spazio come l’uomo non riesce neanche a concepire, in una dimensione vicina a quella di un pianeta parallelo.

Il profilo si erge lievemente verso l’alto e a labbra schiuse proietta l’immancabile pennacchio, unico indizio di un vulcano vestito da montagna, il Mungibeddu non si smentisce, fedele alla sua immagine nei secoli, ‘a Muntagna come è chiamata dolcemente dai locali in una declinazione al femminile materna e grata per quei fianchi fertili che prima di scivolare definitivamente al mare accolgono sentieri boschivi, frutteti e vigne dei sublimi vitigni locali.

Più di cento contrade e forse quasi un migliaio di palmenti, le architetture agricole usate dai Greci in tutto il mediterraneo per la vinificazione, qui diventati le fondamenta di quel tassello di civiltà vitivinicola e contadina che ha fatto grande il territorio.

Il versante Est, meno famoso e relativamente battuto rispetto al Nord dove originano soprattutto i grandi rossi, è rivolto al mare ed è il terroir per eccellenza dei bianchi autoctoni: questo è il regno del Carricante che in Contrada Caselle si aggrappa ai sentieri stretti e risale una strada di grande fascino paesaggistico, è qui che Salvo Foti, enologo e produttore con l’etichetta I Vigneri, crea i suoi vini umani frutto di quella dedizione che trasforma e plasma natura e la perfeziona, come da sola non riuscirebbe a fare.

Per Foti, padre putativo del vino dell’Etna come lo intendiamo attualmente, è nell’interazione che insiste il senso della viticoltura stessa, un significato profondo che riempie un progetto di vita affiancato dai figli Simone e Andrea, coerente con le prime intuizioni messe in pratica muovendo i primi passi negli anni ‘80.

L’occasione per incontrarlo è una connessione digitale via Instagram, nella quale vengo accolta con familiarità, con quell’affabilità che abbatte ogni barriera. Inizia un discorso autentico, a due voci con il figlio Simone, e comincia a tratteggiare la sua Etna dal cambiamento più significativo e anche più allarmante: “Viviamo una stagione di incertezza climatica, ogni giorno le condizioni meteo cambiano: si avvicendano giorni estivi molto caldi a giorni che viceversa sfiorano le temperature autunnali, dal 2003 si sono evidenziati dei cambiamenti importanti, una variazione prima graduale, poi repentina e adesso sostanziale. C’è un’umidità che non ci appartiene, la sensazione è che il clima si sta tropicalizzando con delle pioggie fuori stagione che creano variabili e imprevisti sulla vigna che è già un lavoro esposto a tutto quello che accade in natura” – nelle sue parole c’è un palpabile dispiacere per qualcosa di irreversibile, una situazione compromessa che non sappiamo dove porterà – “Nella terza edizione del mio libroEtna. I vini del vulcano, Giuseppe Maimone Editore – uscita a marzo 2020, ho aggiunto e aggiornato alcuni aspetti compreso il cambiamento climatico in atto, approfondendo la viticoltura etnea dalla storia alla professionalità delle maestranze che lo rendono così unica. In questo lavoro considero l’Etna con tutte le sue particolarietà legate all’esposizione, al versante, all’altitudine, alla matrice vulcanica del suolo. Mi soffermo sull’alberello, il sistema di allevamento che dà più possibilità di contrastare i cambiamenti climatici, una vite ben adattata al luogo e lo stesso viticultore autoctono possono essere insieme la strategia migliore per superare le variazioni e le incognite. Il sistema ad alberello è antichissimo, diffuso in tutto il mondo prima che arrivasse quell’agricoltura nuova, moderna e meccanizzata che ci ha disorientati ed è il sistema che si conforma meglio alla vite e alla sua natura. Sull’Etna l’alberello ha una storia millenaria, una tradizione frutto dell’innovazione riuscita nel tempo”.

In effetti cosa lega la terra al vino e il vitigno all’uomo se non quella docile costrizione, quella specie di nobile addomesticamento che migliora i frutti che è il sistema di allevamento? Ecco il passaggio fondamentale, il rapporto reciproco tra la pianta, il frutto e le genti autoctone.

Il massimo agronomo dei romani, Columella scriveva nel I sec. a.c.“Chi ara domanda il frutto, chi concima invoca, ma chi pota costringe a produrre” una citazione che Foti snocciola a proposito dell’avere cura, del trattare con un know how specifico che è proprio delle maestranze tanto attenzionate da Foti: “Nel 1435 nasce a Catania la mestranza dei Vigneri e diventa da allora un laboratorio che tramanda sapere” – le parole accendono Foti, la questione è centrale – “un atelier di trasferimento di competenze, mi riferisco alla cura del vigneto ma anche alla costruzione dei muretti a secco in pietra lavica, su questa strada si è persa per esempio la capacità di costruire un palmento ex novo, una qualifica che non potremo recuperare facilmente perché il palmento ha una sua tecnologia: è un sistema di vinificazione adeguata ai nostri vini, soprattutto al Nerello Mascalese e questo l’ho verificato scientificamente 30 anni fa quando ho fatto uno studio dedicato insieme all’ente più importante di ricerca che abbiamo in Italia. E’ chiaro che quando una viticoltura ed un’enologia di un territorio cominciano ad avere 1.000/1.200 anni di storia siamo davanti a un modello che funziona”.

Il Palmento è un altro punto focale della lettura dell’Etna fatta con gli occhi dell’enologo: “I Palmenti andrebbero censiti” – una certa urgenza vibra nella sua voce – “le costruzioni rurali, da quelle primordiali della Valle dell’Alcantara probabilmente fatte dai greci o rifatte su quel modello, sono delle architetture semplici e funzionali: edificate su 2 livelli per pressare l’uva raccolta nel vigneto e poi trasferire il mosto con l’uso degli otri a casa. Sull’Etna quelli di prima origine coesistono con quelli più recenti che esprimono la loro tecnologia, legati strettamente al vigneto cui erano asserviti, spesso fabbricati in proporzione alla vigna; il lavoro più prossimo ad una catalogazione l’ho fatto con Sonia Gambino che nella sua tesi di laurea a Pollenzo si è concentrata nella ricognizione dei palmenti siti tra Randazzo e Castiglione, insieme ne abbiamo individuato centinaia, a testimonianza di com’era diffusa la tecnica locale di vinificazione”.

Custodire, preservare e intervenire con il massimo rispetto: è questa la filosofia di Salvo Foti che produce vini etnei, prima ancora che “suoi”, vini che raccontano tutto del territorio e nel farlo guardano avanti verso un futuro più sostenibile.

(foto tratte dalle pagine facebook “I Vigneri”)

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Valeria Lopis

Nativa etnea, sommelier AIS e giornalista pubblicista che ha all'attivo numerose collaborazioni con magazine e riviste di settore, cura uffici stampa per eventi e aziende. Una grande passione per la campagna e le vigne la spinge ad esplorare il terroir locale, e non solo, con entusiasmo. Da buona siciliana ama il cibo di qualità e la condivisione di esso, un immenso patrimonio culturale da valorizzare e comunicare.

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