Tutto il vino è finito: Carlo Levi in Basilicata
Assieme al Verga dei campi, al Pirandello delle zolfatare e allo Sciascia degli omicidi consumati dietro i sacchi di carbone (ma non al Diario di un giudice di Dante Troisi), Cristo si è fermato a Eboli era lettura obbligata ai tempi delle (mie) scuole medie, quando la questione meridionale echeggiava in ogni testo scolastico del Sud d’Italia. La più nota opera di Carlo Levi, nato nel 1902 a Torino, medico appassionato di prosa e arte, non è solo un illuministico tentativo di denuncia di uno Stato a due velocità, appesantito dal catrame delle suole dei locali capibanda in camicia nera, ma anche un prezioso documento sulla vita quotidiana degli abitanti di una regione da sempre lontana da ogni riflettore: la Basilicata. Una quotidianità dove la parola vino, almeno nel resoconto di Levi, ricorre spesso e assume toni diversi, a seconda dei luoghi e dei protagonisti.
Ironicamente, è con una severa ammonizione a non bere che inizia l’incontro del confinato scrittore col vino lucano. Tale, infatti, è il suggerimento del medico locale, un pomposo e sgangherato segaossa preoccupato dall’arrivo del giovane concorrente, confinato, certo, ma settentrionale e laureato in medicina.
Non accetti nulla da una donna. Né vino né caffè, nulla da bere o da mangiare. Certamente ci metterebbero un filtro. […] Vuol sapere di che cosa li fanno? – E il dottore mi si china all’orecchio, balbettando a bassa voce, felice di aver ricordato finalmente un termine scientifico esatto. – Sangue, sa, sangue ca-ta-meniale…
In questo miscuglio verbale di ignoranza, misoginia e boria sociale l’emersione di un’ arcaica consapevolezza è tanto accidentale quanto forte: il sangue è vita, il vino è vita. La metonimia cromatica tra vino e mestruo, l’equivalenza vitalistica tra l’antica bevanda e il mistero della nascita, finanche, il mal celato rapporto tra ebbrezza e sessualità: in questo garbuglio di pregiudizi e verità Levi inizia il proprio apprendistato in quello strano mondo, e lo porta avanti senza tema alcuna, ironizzando sull’avvertimento e immergendosi con misurato interesse nella sua nuova casa.
Certamente non ho seguito i consigli dello zio e del nipote, e ho affrontato ogni giorno il vino e il caffè dei contadini, anche se chi me lo preparava era una donna. Se c’erano dei filtri, forse si sono vicendevolmente neutralizzati. Certo non mi hanno fatto male; forse mi hanno, in qualche modo misterioso, aiutato a penetrare in quel mondo chiuso, velato di veli neri, sanguigno e terrestre, nell’altro mondo dei contadini, dove non si entra senza una chiave di magía.
Una casa da condannato al confino, certo, dove trastulli e piaceri non abbondano, dove il rischio maggiore, tolta l’endemica piaga della malaria, è quello di morire di noia. Tolte le passeggiate serali e le partite a carte, è l’osteria la dimensione ludica per eccellenza, il vino l’interlocutore prediletto per trascorrere la giornata al termine del lavoro.
La passatella, il gioco delle carte, qualche chiacchierata sulla piazza; e le sere trascinate qua e là nelle grotte del vino.
Sudicio gioco da osteria, la passatella era nata tra i banconi delle tabernae latine, e da lì cresciuta tra i legni dei locali dello Stato Pontificio, gli stessi delle avventure del marchese del Grillo. Unico passatempo dei contadini lucani martoriati da fame e miseria, il gioco, fatto di massicce bevute, diventava pretesto per sfoghi sopiti: affronti e frustrazioni si esasperavano, e al lume di candela non era raro vedere saltar fuori una lama acuminata. Luogo di chiacchiere a fondo perduto erano proprio le grotte da vino, antri naturali di roccia sfruttati per l’ammasso delle botti e, spesso, per il loro consumo in loco. Una tradizione assai antica che riecheggia, ancora oggi, in una nota denominazione del vino lucano, il grottino di Roccanova. Erano le grotte, non di rado, il palcoscenico di quei decadenti episodi di ubriachezza al coltello, nei quali il vino aveva tanta responsabilità da avere sostituito il sangue in una proverbiale espressione. Ne sa qualcosa, secondo Levi, un bigio maestro supplente di scuola
ubriaco questa sera, come quasi sempre, fin dal mattino. Ma ha il vino cattivo, e diventa feroce, collerico, rissoso. I suoi urli, quando fa scuola, si sentono in fondo al paese.
In questo mondo vetrificato c’è spazio anche per gesti di amicizia, di cui il vino si fa catalizzatore, come nel caso dell’Arciprete, deciso a condividere il suo unico, lercio bicchiere con lo scrittore, che lo accetta superando l’iniziale imbarazzo. Un contenuto, a dir la verità, seppur porto da un ministro del cattolicesimo, assai più amaro di qualsiasi ipotetico filtro pagano. Mai, forse, come in quel caso, Levi avrebbe desiderato una piazzata dei famigerati monachicchi, bambini morti senza battesimo che
fanno il solletico sotto i piedi agli uomini addormentati, tirano via le lenzuola dei letti, buttano sabbia negli occhi
Bene prezioso, il vino è merce di scambio, di omaggio, e spesso di secolare sopraffazione. Ha un bel meravigliarsi, il torinese Levi, dell’antica abitudine dei poveri di rendere omaggio ai ricchi sotto le feste, consegnando loro ricche ceste di preziose bontà senza ricevere nulla in cambio che non sia sufficienza e disprezzo.
Anch’io dovetti ricevere, quel giorno bottiglie di olio e di vino, e uova, e canestrelli di fichi secchi, e i donatori si meravigliavano che io non li accettassi come una decima obbligatoria, ma che me ne schermissi, e facessi, in cambio, come potevo, qualche dono.Che strano signore ero io dunque, se non valeva per me la tradizionale inversione della favola dei Re Magi, e si poteva entrare a casa mia a mani vuote?
In quel bieco rito stava l’eterno male del Meridione, e Levi lo sa. Nessun bicchiere di vino può alleviarne la dolorosa consapevolezza, in lui acuita da un confino crudele e da un desiderio frustrato di ausilio a tanta miseria, lo stesso che annichila la sorella, giunta un giorno per una visita, circondata da una folla pregante di bambini in cerca di chinino.
Carlo Levi – Cristo si è fermato a Eboli (Einaudi, Torino 1945) – Ultima edizione, Einaudi 2014