Chi ha paura degli OGM cattivi?

Invasione_degli_ultracorpi_01

L’invasione degli Ultracorpi – Don Siegel (1958)

Dopo il vino, Presa Diretta di Riccardo Iacona propone una nuova inchiesta, dedicata all’ingegneria genetica agroalimentare. Rischi? E se sì, quali? A voler fare l’avvocato del diavolo, il primo problema degli OGM,  sembrano essere proprio gli OGM. E non si tratta di mera ovvietà.

Quando il medico e genetista Stanley Cohen, nel 1973, creò il primo in laboratorio, non erano certo le speculazioni di marketing ad occupare la sua testa; è  indubbio, però, che la locuzione, fedele al giusto criterio della massima chiarezza, risulti da sempre indigesta alla prova dell’opinione pubblica.

Se organismo evoca immagini di esseri viventi, magari umani, magari pericolosamente senzienti, simili agli ultracorpi di un famoso film di Don Siegel, l’avverbio geneticamente tira in ballo quanto di più profondo il corpo di un uomo possegga, ed evoca, con una scivolosa assonanza, più che il genetista Mendel, il mai compianto medico nazista Mengele; in quanto al participio modificatoè la sottesa idea di scarto da una condizione di normalità, di stabilità sempiterna a disturbare l’orecchio. Il risultato del cocktail è palese: una non meglio specificata cosa, alienata dal proprio stato normale attraverso inquietanti pratiche e ridotta ad una fredda sigla di tre lettere. Una sigla scomoda, un calderone dove tuffare parole come incrocioibrido, transgenico cisgenico, utilizzate malamente, spesso senza avere la minima idea di cosa significhino.

slide0026_image046

Per quanto fuori luogo, parlando di genetica Frankenstein rimane un immagine archetipica dell’immaginario

Siamo figli della storia, inutile negarlo. Lo sa bene Silvio Garattini, direttore dell’Istituto di ricerche Mario Negri di Milano ed esperto mondiale di farmacologia, tra i primi intervistati della puntata: “la scienza conta poco” – dice –  “a partire dalla scuola che non ha recepito la scienza come parte della cultura.” Una cultura ancora fondamentalmente letteraria, filosofica e giuridica, in una società sempre più tecnologizzata ma satura di analfabeti scientifici: in sostanza, parli di OGM e pensi a Frankenstein o all‘isola del dottor Moreau. “La politica” – continua – “è il frutto della nostra scuola; non ha fiducia nella scienza perché non la conosce. La ricerca blocca la libertà di indagine ma qual è la ragione per bloccarla?”

Nessuna, secondo Alberto Mantovani, direttore del centro di eccellenza Humanitas di Milano: l’utilizzo di OGM non implica rischi per la salute; fermare la ricerca è sbagliato.

Una ricerca, quella sugli OGM, libera da molti vincoli negli Stati Uniti, dove è vista (da alcuni, non da tutti) come la nuova frontiera per una agricoltura sostenibile.  A Berkeley, in California, Brian Staskawicz ha usato il patrimonio genetico del peperone per rendere immune il pomodoro da alcune infezioni, oggi combattute a colpi di solfato di rame. Un suo studente è invece alle prese con la pianta della Yucca, per immunizzarla dalla malattia marrone, un flagello da  milioni di dollari in Sudamerica. Alla UC Davis, Pamela Ronald e Raul Adamcek (ma Presa Diretta ha dimenticato che la paternità del progetto spetta a Ingo Potrykus) lavorano su un particolare riso, battezzato golden rice, ricco di vitamina A, per aiutare i bambini africani a rischio cecità per carenza vitaminica.

Una ricerca, in Italia, zoppicante ma ancora viva, tenuta in piedi da una politica schizofrenica che prima finanzia con denaro pubblico e poi tutto ferma e tutto distrugge.

Sweet Seedles

Sweet Seedles, il pomodoro senza semi creato dall’americana Burpee

C’è quella portata avanti dal Dipartimento di Scienze Agrarie dell’Università di Ancona, diretta dal professor Bruno Mezzetti: una ricerca sul miglioramento genetico di specie vegetali nazionali (olivo, vite, fragole e mele) basata sulla coltivazione di piantine in serra a tenuta stagna, essendo la coltivazione all’aperto vietata. A Bologna c’è il professor Silviero Sansavini, creatore di una mela cisgenica resistente al fungo della ticchiolatura, una piaga, ad oggi, contrastata con massicce irrorazioni di antiparassitari. Nel Lazio c’è il professor Eddo Ruggini dell’Università della Tuscia. Nel 2012 ha dovuto sradicare le coltivazioni sperimentali all’aperto dei kiwi e ulivi resistenti alle malattie, al freddo e alla siccità. All’Istituto di Genetica di Napoli Roberto Defez  modifica batteri azotatori che sostituiscono i fertilizzanti di sintesi a base di petrolio.

mais-ogm-1

Il MON810 è un mais OGM assai impiegato in Spagna

Una ricerca, in Italia, particolarmente limitante: è vietata sia la coltivazione degli OGM (se non all’interno di laboratori) sia, dal 2001, la ricerca in campo aperto, ma non l’importazione di prodotti dall’estero. Un veto alla ricerca contestato da molti studiosi, compatti nel ricordare come la pericolosità degli OGM non è stata, ad oggi, minimamente dimostrata: tutti gli studi concordano sul fatto che le piante OGM non sono sostanzialmente diverse, possono convivere con quelle non OGM e non sono pericolose per la salute. Confutate, invece, secondo Dario Bressanini, dell’Università di Como, le bufale nate sulla scia dell’isterismo, come la fragola – pesce e le coltivazioni OGM sterilise fossero sterili non si parlerebbe cosí tanto di contaminazione accidentale no? A questo punto tutta l’agricoltura – satireggia Bressanini – è un atto contro natura: il triticum aestivum, da cui si ottiene la farina di grano tenero, è un OGM derivato dall’ibridazione spontanea di una sottospecie coltivata di triticum turgidum col polline di una specie selvatica, l’aegilops tauschii. 

Per il biologo Francesco Sala, scomparso nel 2011, è addirittura dal 1945 che i contadini italiani comprano la semente dell’ibrido (e dunque OGM) F1 del mais, dalla Monsanto come dalla Syngenta. Il motivo è presto detto: nonostante la necessità di seminarlo annualmente, produce il 30-40%  in più.

Situazione diversa nel resto d’Europa, dove la ricerca in campo aperto è ritenuta legittima e la coltivazione di alcuni OGM (in particolare il mais MON 810) concessa in alcuni paesi: in particolare la Spagna, seguita da Portogallo, Repubblica Ceca, Romania e Slovacchia.

maxresdefault

Doktor Terror – Dylan Dog (1991)

In Italia, intanto, la vicenda del divieto assume toni paradossali, almeno se si fa riferimento alla questione della libera circolazione del mangime OGM per animali, impossibile da vietare per questioni di regolamenti sovranazionali di commercio. Secondo Marco Pasti di Confagricoltura, l’industria italiana dei mangimi importa grosse percentuali di mais e soia OGM perché incapace di fare fronte al fabbisogno col solo prodotto nazionale, infettato dalle aflatossine della farfalla piralide, responsabile della perdita annuale di un terzo della produzione e della massiccia irrorazione di pesticidi da parte dei produttori italiani di mais, come Deborah Piovan. Le quattro eccellenze DOP, quali Grana Padano, Parmigiano Reggiano, Prosciutto di Parma e Prosciutto San Daniele, in buona parte, sembrano dunque frutto della mungitura e della macellazione di animali nutriti con mangimi OGM.

133150-actress-uma-thurman-who-portrays-poison-ivy-in-the-new-film-batman-rob

Verzura letale: Uma Thurman è Poison Ivy in Batman & Robin (1997)

Nessuna voce contro dalla scienza italiana, allora? Tolta quella di Federico Infascelli, i cui studi sono stati classificati come truccati, e dunque, inattendibili, rimane Emanuela Giovannetti della Facoltà di Agraria di Pisa. Pur non contraria agli OGM in genere, né alla libertà di ricerca sui medesimi, la Giovannetti mette in guardia dai possibili effetti collaterali, perlomeno in campo agronomico e sottolinea il dovere di una sorveglianza costante. Esempio ne è il Mais BT, un prodotto della Ciba Geigy, dove la sigla sta per bacillus thuringiensis, un batterio largamente utilizzato per la lotta biologica ad un insetto e il cui corredo genetico è stato impiantato su una pianta di mais per renderla spontaneamente immune. Sono recenti le voci di produttori di sementi che segnalano la capacità della tossina BT di essudare dalle radici, passando al terreno e rendendo immuni, ormai, cinque tipologie di insetti, vanificando l’impiego del batterio anche per chi lo usa come irrorante e contaminando specie diverse.

Storia recente, come le polemiche sugli OGM in Italia. Eppure di ingegneria genetica (non di OGM) nella Penisola si parlava già un ventennio fa, come qualsiasi nato nei primi anni Ottanta può dimostrare, libri scolastici alla mano, e persino Topolino, nel 1994, dedicava una storia all’argomento con toni abbastanza sereni. A leggere il vocabolario, poi, il genere umano si nutre di OGM da millenni, così come si legge sulla Treccani.

Tutto un problema di marketing linguistico allora? Fermo restando l’imprescindibile dovere della ricerca scientifica proviamo a rivolgerci alcune domande sparse.

  1. Palesata la (quasi) inevitabile assunzione di prodotti OGM di natura transgenica tramite carne e derivati carnei, perché non è obbligatorio, nelle etichette, indicare se l’animale macellato è stato nutrito con mangime OGM e in quale percentuale?
  2. Appurata la mancanza di indicazioni in etichetta, in Europa come negli Stati Uniti, come si fa a stabilire chi mangia cosa e con quali effetti nel lungo periodo? Sarà sufficiente una finestra di un decennio per dimostrare l’assoluta sicurezza degli OGM di tipo transgenico? Un monitoraggio, alle attuali condizioni, è impraticabile.
  3. Davvero l’unico problema è quello della salute? Perché nessun accenno al problema della proprietà intellettuale di alcune famiglie di sementi OGM e alle recenti evoluzioni di aziende come la Monsanto tirate recentemente in ballo dal film La grande scommessa? Le multinazionali non saranno certo interessate al San Marzano o alle olive, ma possiamo dire la stessa cosa per mais, soia e orzo?
  4. Gli OGM costituiscono un problema politico e ambientale? Se è giusto per un professore californiano produrre vegetali resistenti alla siccità, non sarebbe più giusto per il parlamento di uno stato federale risolvere a monte il problema della carenza idrica? Produrre enormi quantità di mais e soia sicuri per la salute e destinati al consumo animale è corretto, ma più corretto non sarebbe riconvertire la produzione di carne da macello in alimenti più sostenibili? Il magnifico golden rice salverà migliaia di bambini dalla cecità infantile: non sarebbe altrettanto magnifico se gli stati africani provvedessero garantendo il benessere generale dei propri cittadini?

Non con le idiozie propalate sui siti bufala si combatte il male ecologico, ma con la ricerca, lo studio e le domande, incluse quelle sugli OGM. Per le risposte bisognerà attendere ma tutti sono invitati a partecipare.

Facebooktwittermail

Gherardo Fabretti

Appassionato di leggi e latinorum, in principio fu Giurisprudenza. Laureato, invece, in Lettere moderne, diventa presto redattore per riviste di letteratura e fumetti. Alcolismo vuole che il vino inizi a interessarsi a lui, fino al diploma AIS di sommelier e al master in Gestione e Comunicazione del Vino organizzato da ALMA. Vive a Milano, ma quando può fugge, perdendosi volentieri in varie parti del mondo, perché il viaggio, come diceva Costantinos Kavafis, è “fertile in avventure e in esperienze”. Crede che Venezia sia la porta della felicità e Parigi il rifugio degli ultimi romantici. Non ha problemi con gli aerei ma a New York preferirebbe arrivarci in nave. Mentre organizza una breve gita in Mongolia, cerca compagni per il viaggio.

Potrebbero interessarti anche...

3 risposte

  1. Federico ha detto:

    Gentile Gherardo Fabretti,
    Grazie per l’articolo, è molto interessante. Non capisco tuttavia il perché delle sue domande finali, che trovo scollegate dal contenuto del suo articolo e piuttosto provocatorie, come se Lei di colpo mettesse le mani in avanti su tutto quello che ha appena scritto.
    I punti in questione sono più facili da spiegare di quanto non pensi. Mi permetta di suggerirLe qualche idea:
    1) L’etichettatura non è obbligatoria, né dovrebbe esserlo, perché i mangimi OGM non sono in sostanza diversi dai mangimi tradizionali. La transgenesi è un processo più preciso e sicuro, ma sostanzialmente equivalente ad altri già in uso e perfettamente accettati, per migliorare le proprietà dei prodotti agricoli. Etichettare un cibo come OGM non dà alcuna informazione aggiuntiva sulle proprietà del prodotto. Oltretutto, il concetto stesso di OGM non è scientificamente esatto e ben definito.
    2) No, non è possibile. Non è possibile dimostrare l’assoluta sicurezza di alcuna sostanza sulla Terra, di alcun cibo, di alcun farmaco, di alcuna tecnologia. Sarebbe semplicemente antiscientifico. E non ha alcun senso: per studiare la nocività di una sostanza, è necessario almeno avere delle ipotesi sul perché e sul come una sostanza potrebbe essere pericolosa per la salute. Avere paura di una nuova tecnologia non è, da sola, una valida ragione. Inoltre, anche con un’etichettatura esaustiva, come si potrebbe stabilire chi ha mangiato che cosa? Otterremmo solamente dati aggregati sul consumo di determinati prodotti.
    3) Il problema della proprietà intellettuale è un non problema. Molte sementi oggi sono brevettate, OGM e non. Sono il risultato di anni e di milioni spesi in ricerca, è normale che siano coperte da brevetto. Non obbligano nessuno ad usarle e non costituiscono un “brevetto sulla vita” (peraltro, un discorso di tipo etico, fuori luogo in un dibattito scientifico), in quanto la tecnica di modificazione, e non i semi di per sé, sono oggetto del brevetto.
    4) Ha ragione. Tuttavia, una cosa non esclude l’altra. Gestire al meglio le nostre risorse idriche, minimizzare l’uso di risorse nella produzione di carne ed accelerare gli effetti dello sviluppo economico sulla salute degli abitanti dei Paesi poveri sono nobili obiettivi, ma vanno perseguiti passo passo con l’uso di tutte le tecnologie possibili per migliorare la qualità della vita e diminuire il nostro impatto sull’ambiente. Non vedo, negli OGM, un problema politico. Li vedo come parte della soluzione.
    La ringrazio per il Suo articolo e concordo con Lei sull’importanza dello studio e della ricerca. Mi permetto di suggerire anche un sano entusiasmo per le opportunità offerte dalla scienza e dall’innovazione.
    Cordiali saluti!

    • Gherardo Fabretti ha detto:

      Gentile Federico, grazie per il suo commento, a cui rispondo volentieri.

      Sul primo punto, non concordo. Credo che i prodotti alimentari di origine transgenica siano in uso da troppo poco tempo per potere stabilire con assoluta certezza la loro innocuità sul lungo periodo. Non nego, nella maniera più assoluta, l’altissima probabilità che questa innocuità sussista ma non mi sento di reputarla tale al 100%. Non mi passa nemmeno per la mente parlare di divieti, ma solo di informazione completa. Per intenderci: io da consumatore gradirei l’indicazione sull’impiego di mangime OGM su un’etichetta di filetto al pari di quella sull’eventuale utilizzo di corticosteroidi su un determinato animale.
      Parlando di etichettatura sugli alimenti, sarebbe corretto formulare nuove sigle, per ripartire il carico semantico di OGM in sigle più precise: un OGM transgenico meriterebbe una sigla a parte, come OTM (organismo transgenicamente modificato). Non che questa sigla debba essere caricata di chissà quale aura negativa, solo, rappresentare ciò che effettivamente è, per informare il consumatore su ciò che sta comprando, alla stregua di una gomma da masticare dove si dichiara la presenza, non so, di E321. Forse una maggiore trasparenza ridurrebbe anche lo spauracchio della disinformazione sugli OGM.

      2. L’ottenimento di dati aggregati sul consumo di determinati prodotti è secondo me un dato prezioso da confrontare con le eventuali (ipotetiche) evidenze di (futuri) effetti collaterali da consumo di prodotti transgenici. Pensiamo al famigerato talidomide degli anni Sessanta: non è un OGM, certo, ma la sovrapposizione tra i dati di consumo di quel farmaco e gli effetti collaterali tardivamente scoperti (certo, roba di un decennio, siamo d’accordo) furono una preziosa evidenza per il rapido ritiro del prodotto.

      3. Sulla proprietà intellettuale: ipotizziamo, da qui a uno, due secoli, un utilizzo pressoché totale (non per obbligo, semplicemente per volontaria scelta dei consumatori) di un tipo di semente di mais brevettata, tale da portare alla progressiva scomparsa di ogni altro tipo di semente di mais. Cosa succederebbe a quel punto? L’ipotesi è ardua, certo, ma non totalmente irreale. http://viride.blog.tiscali.it/2013/04/02/•-semi-da-piantare-e-scambiare/?doing_wp_cron

      4. Anche io vedo negli OGM una possibile parte della soluzione. Una cosa, come dice lei, non esclude l’altra. Gli scienziati, spesso, mettono una pezza (per personali motivi, dall’altruismo al denaro) ai buchi aperti dalla mala politica e dalla cittadinanza passiva.

      Mi reputo un progressista, assolutamente entusiasta delle opportunità della scienza e dell’innovazione, solo, come la Giovannetti, vorrei che l’attenzione fosse sempre desta.

      Grazie per la bella occasione di confronto.

  2. Federico ha detto:

    Buongiorno Gherardo,
    Ho visto qualche giorno fa la Sua risposta e La ringrazio.
    Penso di non essermi sempre espresso nella maniera più completa possibile. Trovo le Sue preoccupazioni molto condivisibili e comprensibili, ma non per questo necessarie.
    Vorrei portare avanti la conversazione, ma non so se il botta-e-risposta faccia parte del “protocollo” per questo genere di articoli. Mi faccia sapere e, se desidera, mi contatti liberamente su Linkedin.
    Buona giornata in ogni caso e grazie ancora.
    Cordiali saluti!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.