Buon compleanno, Etna Doc!
Quest’anno ricorre il 50esimo compleanno del disciplinare Etna Doc, approvato con Decreto del Presidente della Repubblica l’11 agosto 1968, rappresentando, quindi, il primo riconoscimento ufficiale per la Sicilia dalla nascita delle prime Doc italiane nel 1966. ‘A Muntagna si staglia per 3.350 m. ed è un’imponente e affascinante signora che si ammira da diversi punti della Sicilia, non soltanto orientale! Il vulcano attivo più alto d’Europa attira non solo per la sua straordinaria bellezza e copiosa attività, ma anche per le eccellenze enogastronomiche che negli anni hanno trovato in esso una culla in cui crescere e radicarsi. Dal pistacchio di Bronte alle fragole di Maletto, dal miele di Zafferana ai noccioleti, meleti, agrumeti e, naturalmente, vigneti. Le colate laviche e l’esposizione, i microclimi (se ne contano addirittura 4) e le forti escursioni termiche, l’altitudine e la particolare composizione dei suoli, tutto questo, e molto altro ancora, rende oggi l’Etna, patrimonio Unesco dal 2013, uno dei luoghi più ambiti e ricercati in Sicilia e nel meridione in generale, con Catania in ascesa nel panorama turistico italiano ed europeo. Di questo territorio quello che sembra aver maggiormente catalizzato l’attenzione è il settore enologico. I versanti costituiscono un interessante spunto di riflessione e ricerca per appassionati ed esperti, ognuno di loro delinea un profilo sensoriale diverso e accattivante che ha spinto produttori del calibro di Angelo Gaja (tra gli ultimi e più risonanti), Andrea Franchetti, Frank Cornelissen, Marco De Grazia (e molti altri) a investire in una regione lontana dalle loro terre d’origine. La biodiversità che vi si ritrova permette a ogni produttore di sfruttare ogni singolo metro di terra e ottenere vini sempre diversi che difficilmente possono annoiare: così se il nord (temperature rigide con forti escursioni termiche, raccolte in ottobre) rappresenta il luogo di vocazione dei grandi rossi da invecchiamento, ad est troviamo le caratteristiche ideali (vento, pioggia ed esposizione) per produrre bianchi di carattere, con acidità spinte al massimo ed elegantissime spumantizzazioni metodo classico da nerello mascalese (già nell’800 il Barone Spitaleri fece esperimenti a riguardo). Siamo in una vera e propria isola nell’isola, a dimostrazione delle enormi possibilità che la Sicilia offre attualmente sotto tutti i punti di vista. È un fenomeno, quello dell’Etna, che, nonostante le radici antichissime, si sviluppa e prende forma negli ultimi quindici anni, cioè da quando sono stati effettuati ingenti investimenti per la riqualifica dei vigneti. Oltre alla tradizionale forma di allevamento ad alberello e gli spettacolari terrazzamenti che, soprattutto sul versante orientale, si affacciano sul Mar Jonio con viste mozzafiato, proprio sul vulcano si contano alcune delle piccole macchie sparse nel mondo di viti a piede franco sopravvissute alla fillossera, grazie al terreno sabbioso-vulcanico e altri agenti atmosferici. Si tratta di uno dei più preziosi tesori di questa terra, spesso difficile e per questo ancora più intrigante, che ospita viti con anche 130-140 anni. Al momento gli ettari vitati si attestano intorno ai 700 e le aziende che vi operano sono circa 140. La parcellizzazione, unitamente alle basse rese, determinano una quantità di prodotto finale che è assolutamente insufficiente a soddisfare la grande “sete” che c’è oggi di Etna. Si discute, proprio in questi giorni, sulla possibilità di allargare i limiti della Doc alle zone della valle e a quelle più in alto, sopra i 1.100 m. (il limite nord con l’azienda Planeta, che si attesta tra le più alte, praticando quella che viene chiamata “viticoltura eroica” esattamente come in Valle d’Aosta o Valtellina). Gli interrogativi sono tanti e le proposte confuse; a chi sostiene di istituire una nuova DOC (probabile Mongibello) si contrappone chi invece spinge per la creazione di una DOCG che “protegga” i luoghi storici di produzione e confluisca nella DOC i nuovi. Ma forse, come nel caso del Marsala, il marchio Etna è così forte che l’esistenza di una nuova denominazione non serve certamente a proteggere il prodotto ma ad incrementare il numero dei produttori o degli ettolitri finali. E’ un momento d’oro per i vini del vulcano e per tutta l’isola, mai così attiva e vocata alla qualità come adesso. I prezzi a ettaro salgono e si attestano intorno ai 120.000 euro, una vera e propria corsa all’acquisto di recente, soprattutto nelle zone tra Linguaglossa, Castiglione di Sicilia e Randazzo e le loro contrade (Solicchiata, Rovittello, Passopisciaro, Rampante, ecc). Già, perché in questa parte di Sicilia, un po’ in stile Borgogna, si vinifica in base alle contrade, viste come cru veri e propri dai produttori. A rimescolare le carte ci pensa il re del Barbaresco, A. Gaja, che acquista invece a sud (nel comune di Biancavilla) insieme ad Alberto Graci, già produttore dell’Etna, nel versante che ad oggi ha dato meno spunti, ma che riserverà grandi sorprese sicuramente.
Ogni vino è un progetto, un’opera d’arte, espressione di un patrimonio soprattutto umano (idea al centro de “I Vigneri” guidati da Salvo Foti, tra i più esperti enologi del territorio). Così le nuove architetture si fanno immagine di quell’idea di bello e buono che popola la letteratura fino ad arrivare al settore enologico (grandi architetti si dedicano a strutture in armonia con l’ambiente circostante, dalle cantine Faro a Planeta a Tenute Bosco). Accanto ai nuovi “colonizzatori” non vanno certo dimenticati quei produttori che all’Etna e ai suoi vini hanno dedicato la loro vita, lunga anche cinque generazioni (Patria, Barone di Villagrande, Murgo, Girolamo Russo, per citarne solo alcuni).
“E’ un vantaggio fare il vino in questo posto che tradisce la comune meteorologia, è un posto vergine e deserto dove regnano immagini potenti che vengono fuori da forze senza nome. Queste immagini si fanno corteggiare per anni senza lasciarsi capire del tutto, ma che trasmettono uno stile, attraverso vinificazioni e viticultura, nei vini” (A. Franchetti).
Buon compleanno, Etna Doc!