10 vini in quarantena: #iorestoacasa con etichette di qualità e una storia da raccontare
“La nobiltà del vino è proprio questa: che non è mai un oggetto staccato e astratto, che possa essere giudicato bevendo un bicchiere, o due o tre, di una bottiglia che viene da un luogo dove non siamo mai stati.”
L’attualità delle parole di Mario Soldati quasi trafigge, evoca tutta la libertà che il vino riesce a farci respirare già dall’attimo in cui scegliamo di berlo, a cavarne il tappo sembra di cadere nella tana del coniglio di Alice: stimolati dall’olfatto appaiono ricordi e si materializzano desideri di terre e paesaggi lontani.
In tempi di quarantena non possediamo la libertà ma un’altra merce altrettanto preziosa è accanto a noi, finalmente il tempo ci concede l’onore della sua compagnia, un tempo che può essere lieto e spassoso se sappiamo trovare la giusta chiave per (ri)leggere noi stessi, a far ciò potrebbe aiutarci un “alimento” eletto, il vino, capace di trasferire e condurre per mano in luoghi straordinari chi ha la sensibilità di ascoltarlo.
Adesso che riusciamo ad assaporarle, concediamoci 10 bottiglie che per intensità, carattere e stile possiamo sentire senza perdere neanche un passaggio: ci racconteranno storie di paladini medievali e visionari biodinamici, campionissimi sportivi e casati nobiliari, zigzagando (idealmente) su e giù per lo stivale in cerca di emozioni e piacere ci faranno sentire il gusto di ogni terroir, matrice di ogni grande vino.
Vitalba Romagna DOC 2017, Tre Monti – Vitalba è l’Albana Secco dell’etichetta Tre Monti, cantina baciata dal sole della Romagna in fiore. Le uve di Albana sono allevate nei terreni di Vigna Bacchilega, Podere di Imola, Vigna Rocca, Podere di Forlì. La tecnica di vinificazione rende unico questo vino strutturato e longevo: dopo una macerazione di 95 gg sulle bucce in anfora, e una volta ottenuta la massima estrazione, il vino viene messo a riposare nelle kvevri. Nell’annata 2017 sono state prodotte solo 1.500, un numero che rende bene l’idea di quanto sia artigianale la lavorazione e prezioso il prodotto finale.
Il suo giallo dorato intenso prelude la ricchezza di profumi e la lunghezza del sorso, ma per descriverlo prendo in prestito le straordinarie parole di Camillo Privitera, Presidente AIS Sicilia e produttore sull’Etna, che in quella terra di Romagna ha un vissuto e riesce a parlare del vino come si parlerebbe delle genti, o forse è viceversa, descrive le genti ma racconta del vino: “Vitalba è un pezzo di Romagna dove il sole ancora caldo dell’autunno fa occhiolino sui colli della Tre Monti, e la sera l’aria è invasa dall’odore di braciole e pomodori gratinati cotti in graticola. Dove le fragranti risate dei bar ancora dimostrano che si può socializzare parlando, litigando di sport e bere vino. Dove ancora si usano i soprannomi e dire mbezell è quasi affettuoso. Il vino richiama questo sentore ancestrale, caldo avvolgente. E’ dinamico nello spirito, con note di naso che esprimono quel giocondo ottimismo che ci riporta a Tonino Guerra, ed ecco la frutta di albicocca i campi di grano con sentori cereali fermentati, e profumi di campagna, un’invasione da sentori di pesca gialla. Un palato schietto, carico, avvolgente come la risata dei romagnoli. E’ profondo, caldo con fine tessitura. La beva piacevole e di grande equilibrio. Il gusto chiude elegante, e più in là il vociare forte della Romagna si perde nella bassa con qualcuno ancora che si diletta a giocare a beccaccino.”
Lis Venezia Giulia IGT 2015, Lis Neris – L’Italia che inizia dove soffia la Bora, quel vento potente che spazza dal Nord Est al margine del confine sloveno verso il Friuli e la Valle d’Isonzo. Nel comune di San Lorenzo, in provincia di Gorizia nasce Lis Neris, dal dialetto friulano “le terre nere” Lis una cuvée di Pinot Grigio, Chardonnay e Sauvignon Blanc, fermentati e maturati in tonneau. L’assemblaggio non ha mai quote fisse ma segue la fantasia di Alvaro Pecorari enologo di fine intuito che ha reso leggendario questo vino. La vitalità brillante del colore anticipa le luci e le ombre dentro al calice: la mineralità terrosa, il vegetale umido e ancora rorido di rugiada, le note aromatiche pungenti e nordiche di erbe spontanee di bosco che si fa quasi foresta.
Ribolla Venezia Giulia IGT 2011, Gravner – La bocca delle anfore da cui nasce questo vino si specchia nella luna piena, due cerchi perfetti che hanno un peso importante nella filosofia e nello stile di Gravner. Di Josko si potrebbe dire che egli incarna la figura del papà della biodinamica italiana, un credo abbracciato a metà degli anni ’90 che confida nella biodiversità e in un’agricoltura influenzata dalle fasi lunari caratterizzata da pochi interventi.
Le uve Ribolla fermentano in una lunga macerazione in anfore georgiane interrate nelle quali vengono inoculati i lieviti indigeni, senza controllo della temperatura. Dopo la svinatura e la torchiatura il vino ritorna in anfora per altri 5 mesi e completa l’affinamento in grandi botti di rovere, dove è rimasto per 6 anni. L’esposizione del vigneto è strategica, conquistare l’optimum della maturazione è necessario per ottenere quella trama tannica che è la firma di Gravner, simile a una seta osservata in controluce la cui finezza dell’intessitura accarezza lievemente il palato.
Privo l’eretico, Pallagrello Bianco Terre del Volturno IGT 2017, Alepa – Paola Riccio conduce l’azienda agricola dagli albori del 2000 e fra le prime manovre effettuate c’è quella di aver reintrodotto il Pallagrello, vitigno autoctono caro alla casata borbonica e prediletto di Re Ferdinando IV. La vigna situata sulla collina di Caiazzo, poco lontana dalla maestosa Reggia di Caserta, è gestita senza grandi interventi. Il vino è un “orange”, un bianco macerato che fa contatto con le bucce per 80 ore. In questa veste ‘O Pallariell garrisce appena liberato e mostra fiero un olfatto ampio attraversato da note di albicocca disidratata e gherigli di noci, chiude il finale una vena ossidativa che prelude il sorso ricco di struttura e la carica energetica trascinante. Acidità e sapidità a go go.
Il Vecchio Samperi, Marco De Bartoli – Il Grillo, vitigno principe di Marsala magnificato con il metodo del perpetuum, una tecnica di travasi di vino nuovo dentro botti contenenti vini già invecchiati e poi un lungo riposo di almeno 15 anni. Nasce così un vino dalla personalità complessa, forse simile a quel “padrone” che l’ha messo al mondo 40 anni fa. Prezioso nel colore e nei profumi, le note balsamiche e pungenti evolvono nei sentori di frutta in confettura, dimostrando un carattere da grande “vecchio”, a tratti burbero e austero ma pronto a scivolare nella tenerezza al primo scambio di battute.
Dettori IGT Romangia 2013, Dettori – Dal vigneto Badde Nigolosu, nell’estremo Nord della Sardegna dove s’ode (solo) la grandezza del Mediterraneo e i sentieri profumano di mirto. Dettori raccoglie a mano ogni grappolo per fare un Cannonau in purezza ortodosso, autentico. In questo vino è profusa la millenaria saggezza di un popolo avvezzo all’isolamento quanto portato all’accoglienza, quell’ospitalità che unisce i popoli. Il sorso morbido contiene bene il grado alcolico con un palato punteggiato di sentori che potrebbero descrivere il paesaggio. L’azienda dichiara: “bere il Dettori è come fare uno studio di antropologia culturale”, in effetti sembra di sentirci dentro il calore della lana degli abiti tradizionali, dei fuochi dei pastori che conducono il gregge, del bollito dell’inverno con la pecora “in cappotto”.
Cirò Rosso Classico Superiore DOC 2016, Cataldo Calabretta – Affacciata sullo Ionio, Cirò Marina respira a pieni polmoni l’aria salmastra del mare, qui affondano le radici le vigne di Cataldo Calabretta il viticoltore che ha stampato sull’etichetta l’arciglione, l’antico strumento da potatura della vigna usato dai contadini cirotani, un simbolo efficace come falce e martello: ideologico e profondo. Di quelle origini umili e agricole il vino non ne vuol sentire: il portamento è nobile, teso e longilineo, il Gaglioppo si comporta come un elegante signore d’altri tempi. In vigna e in cantina nessun maneggiamento, nessuna interferenza e solo pratiche salubri in armonia con l’ambiente.
Soave Classico DOC 2018, Pieropan – Se le mura del castello scaligero di Soave potessero parlare narrerebbero le gesta dei paladini medievali che l’hanno attraversato e conquistato, come il feudo intorno, vocato alla viticoltura della Garganega e del Trebbiano, che unite in matrimonio costituiscono il vino endemico di queste colline, il Soave.
Dal 1890 Pieropan vendemmia vini che restituiscono pienamente il terroir, un imprinting inconfondibile che tutt’oggi viene rilasciato dalle uve in ogni etichetta della casa.
Il colore riluce quasi fosse un diamante: il giallo paglierino amplifica la luminosità e vibra come un fiore appena sbocciato, la plusvalenza minerale ne caratterizza l’olfatto e il palato: è merito di quei vulcani spenti che collassando hanno dato origine alle Colline Veronesi e a distanza di milioni di anni cedono ancora una sferzata di vitalità, come una stella che si spegne ma è ancora ben visibile dal pianeta terra.
Montepulciano d’Abruzzo DOC 2017, Emidio Pepe – Sulle spalle più di 50 vendemmie, Emidio Pepe guida l’azienda di famiglia con la caparbietà e la tigna che solo un abruzzese può infondere nel lavoro: in un balzo il regime biologico si è evoluto in biodinamico e la parola “naturale” è stata declinata in un dogma che accompagna la vinificazione dai primi vagiti fino all’imbottigliamento.
Rosso rubino profondo, proietta dentro sé il riflesso di una longevità eccezionale di cui è capace, le numerose sfumature gustative precorrono la robustezza al palato che discende da una trama tannica fitta, massiccia, come le granitiche pareti del Gran Sasso.
Sant’Andrea 2016, Vigne Marina Coppi – Barbera e Croatina sfrecciano sulle colline di Castellania, si inerpicano sulle salite dei Colli Tortonesi e ridiscendono a velocità per intrecciarsi alla vita di un campionissimo: questa è la vigna dedicata a Fausto Coppi dalla sua famiglia che nei primi anni del 2000 ha desiderato rifondare anche per riavviare alla vita il borgo semi abbandonato in provincia di Alessandria.
In queste stesse curve all’ombra delle Alpi “l’Airone” fanciullo sorpassava in picchiata incollato ai pedali della sua bici agile come la “sua” barbera, scorrevole e asciutta come un podista, mantiene le caratteristiche canoniche e rispecchia le aspettative; la viola e le sensazioni di bosco, le note speziate vibranti e vivaci sollecitano l’olfatto e accarezzano il palato con brio, il tannino si accompagna a una buona spalla acida e un piacevole finale lungo.