Il Kentucky, la Sicilia e il vino: lezione di Privitera agli studenti Usa
Il Kentucky, la Sicilia e il vino: niente che possa sembrare più lontano e diverso! Eppure è proprio qui, in una delle più importanti Università americane, la Kentucky University, che si è svolta una lezione sul vino siciliano, o meglio sulla produzione di vino sull’Etna. Ma… come mai? Nella terra del Bourbon (guai a chiamarlo whisky!) e del tabacco destinato alle multinazionali, dopo la crisi e il calo della domanda si è affrontata una drastica riduzione della produzione. Lo Stato ha previsto un intervento per la riconversione, si può dire, di un’intera economia nazionale. Siamo intorno ai primi anni 2000, ma… cosa fare al riguardo?
Alcuni intraprendenti produttori hanno pensato bene di mettersi a fare vino, piantando vitigni per lo più internazionali, fiduciosi nella domanda interna dei noti Cabernet sauvignon, Pinot, Merlot, Malbec, ecc.
Ma il clima in Kentucky è tosto e subisce i capricci del “Jet stream”, la corrente a getto che in questa zona, dove si incontrano le masse d’aria fredde del nord e quelle calde del golfo del Messico, influisce sulle stagioni che possono essere molto diverse in base alla prevalenza dell’una o dell’altra, e quando arrivano le improvvise gelate, tra aprile e maggio, il rischio è di perdere non solo il raccolto ma tutte le viti.
I terreni sono sabbiosi e argillosi con scarsa capacità drenante, salvo dove la salutare “limestone “ è ben presente e favorisce il drenaggio.
Ma gli imprenditori sono caparbi e lo spirito pionieristico li porta a non arrendersi mai. In loro soccorso ecco arrivare la “cavalleria”, ovvero il ruolo determinante del Dipartimento di Horticulture della Kentucky University e gli studi del Prof. Jeff Wheeler che fa tutto da solo: cura il campo sperimentale di varietà americane o ibride, i sistemi di allevamento, mai visti prima, sono frutto solo del suo ingegno, la piccola ma attrezzatissima cantina per la produzione del vino, l’imbottigliamento e la spumantizzazione, con pochi fondi e pochissima manodopera.
Ed è qui che entra in campo, per una fortuita conoscenza tramite il collega di ingegneria Prof. Nikiforos Stamatiadis, Camillo Privitera. Conosciuto in occasione di un soggiorno di lavoro presso l’Università di Ingegneria di Catania, il Prof. Stamatiadis capisce che le conoscenze sul vino di Privitera e più ancora la sua esperienza di piccolo produttore sull’Etna possono in qualche modo aiutare il collega e gli studenti del corso statunitense impegnati in questo settore. Con il pragmatismo americano, allora, si organizza con molto anticipo giorno e ora della lezione per portare conoscenza e testimonianza a questo gruppo di studenti e allo stesso Prof. Wheeler.
Camillo Privitera li incontra in un tiepido pomeriggio di febbraio nell’aula del campo sperimentale dell’Università subito fuori Lexinton, dove di mattina erano stati degustati i vini sperimentali come già raccontato da EnoNews. Tutti silenziosi e attenti e forse anche intimiditi dalla novità di trovarsi di fronte ad un esperto di vino italiano, non perdono una parola (un ringraziamento alla gentilissima Anne Marie Stamatiadis per la traduzione simultanea) e seguono le immagini che parlano di una terra dove sì c’è il sole, ma anche la pioggia, dove sì c’è tradizione, ma anche tanta innovazione, e dove non solo la terra e il contesto aiutano la viticultura, ma dove è importante la ricerca della qualità del prodotto e della sua specifica identità.
No, gli studenti della UK non hanno mai sentito questo, forse sanno di mercato, costi, produzione, ma Camillo Privitera parla loro di altro, aprendo un mondo fatto di ricerca e di eccellenza, insomma, il messaggio è subito chiaro: se devi fare un vino, non è un prodotto agricolo qualsiasi, non puoi accontentarti di fare un prodotto mediocre che imita grandi vini ai quali non si potrà mai arrivare, perché si dovrà poi svenderli e se i produttori sono anche piccoli, come qui nel Kentucky, non avranno nessun interesse a procedere su questa strada. Bisogna cambiare il punto di vista e cercare le uve più adatte e produrre vini che possano identificare il territorio. Sì, questo in sostanza è il messaggio che Camillo Privitera ha voluto lasciare agli studenti con negli occhi ancora le immagini suggestive di un vulcano che custodisce e distrugge, di una terra che prima di essere fertile ha chiesto il suo tributo.
Nelle buone mani del Prof. Jeff Wheeler saranno forse loro i primi in grado di produrre un vino che non imiti nessuno, forse non il più buono del mondo… ma certamente il vino del Kentucky!