Mastroberardino incontra Vico Astemio ed è un tripudio di sensazioni uniche

Incontri. Sono il mezzo attraverso cui i nostri destini si compiono. E da uno solo, e fortunato, può nascere il sublime. E’ successo venerdì 2 marzo, nella Cucinoteca Vico Astemio di Riposto, regno dello Chef Massimiliano Vasta che conosce per la prima volta Mastroberardino.
Il locale si affaccia su una piccola via, che sembra provenire dalla Barcellona raccontata da Zafón. Una porticina in vetro e poi, una volta dentro, un arco in pietra si staglia di fronte all’ospite, catturato dalla tenue luce, e dal fuoco di un caminetto. Pareti nude, vestite solo di bottiglie che sostano, ormai vuote, su di esse, e che in silenzio guardano e ne avrebbero di cose da dire. Una bella tavola imbandita, elegantemente sobria, colma solo di calici impazienti. La forma è quella inconfondibile dello stile AIS, nella persona del delegato Jonico-Etneo, Orazio Di Maria, e della sommelier Pina Patanè.
Un piccolo gruppo di appassionati wine lover si stringe intorno alle loro parole che danno il via alla serata. Mastroberardino, (di cui ci siamo già occupati qui e qui), la storia del vino l’ha fatta, e continua a farla, da ormai più di due secoli.
Oggi è la decima generazione che difende questa pagina importante della vitivinicoltura italiana, con Piero Mastroberardino che rappresenta la giunzione tra il passato e il futuro dell’azienda. Il cuore è quello dell’Irpinia, Atripalda (alle porte di Avellino), e loro ne sono gli imprescindibili custodi. Il prezioso tesoro è lo straordinario patrimonio autoctono a cui la famiglia lega da sempre il suo nome, vessillo ineguagliabile della qualità irpina: fiano, greco, falanghina, coda di volpe, aglianico; cavalieri che non temono la lotta contro le mode portate dal nuovo mondo dei vitigni migliorativi (SIC TRANSIT GLORIA MUNDI).

La degustazione salpa con i Cru Radici, Fiano di Avellino 2016 DOCG, 13% vol. e il Nova Serra, Greco di Tufo 2016 DOCG, 13 %vol. Due vitigni cardine, battiti vigorosi nel petto campano. Nel fiano troviamo una piacevole intensità data da note di frutti e fiori, giovani e fragranti e una mineralità marcata che troviamo meno presente nel greco, i frutti diventano leggermente più maturi e si aggiunge un primo accenno di vaniglia. I gusti sono freschi e sapidi, poco più morbido il greco rispetto al fiano, entrambi lunghi al palato.
Comincia, dunque, la kermesse di Massimiliano, che da perfetto patron esce dal suo regno per spiegare il suo piatto. Polpo caramellato su burrata pugliese con gocce di crema di zucca, è l’incipit di una favola. La cremosa succulenza della burrata scatena le papille gustative e il polpo cotto a vapore, e non in acqua bollente, tiene all’interno i suoi succhi regalando quell’acquolina in bocca che trova un perfetto alleato nell’alcolicità del fiano. Al greco invece lo chef abbina Carpaccio di Gambero rosa al profumo di agrumi, è improvvisamente estate e affacciati su una terrazza ci godiamo il mare siciliano con una botta di sapori perfettamente equilibrati, un filo d’olio e una leggera speziatura si sposano con la grassezza e tendenza dolce del gambero, smorzati dalla tendenza amarognola di capelli di scorza d’arancia. Un antipasto che suscita eccitazione ed emozione.

Ma è adesso che entriamo nel vivo dell’incontro, con la straordinaria verticale di Radici Taurasi Riserva DOCG 2011 – 2007 – 1998 – 1997, aglianico 13,5 % vol. Prodotto per la prima volta nel 1986, interpreta impeccabilmente il territorio da cui nasce. Rese basse di circa 45 q/ha. Raccolte manuali, tardive, protratte fino alla seconda settimana di novembre. Macerazione lunga, evoluzione in barriques di rovere francese e di Slavonia per almeno 30 mesi e affinamento in bottiglia per almeno altri 36.

L’annata 2011, la più giovane della serata, ha un naso intenso colorato dai migliori frutti rossi, lampone e more, fragoline di bosco e ribes, poi pepe nero e liquirizia, mentolo, masticabile. Il tannino si attacca alla lingua, lasciandola felpata, freschezza e sapidità, lunghissima la persistenza. Aspettiamo il sorso e lo proiettiamo nel futuro, sarà lontano e pieno di fasti il momento della maturità.

La 2007 è stata un’annata più calda e meno piovosa, qui spezie dolci, cannella e vaniglia, una marmellata di fragole ancora calda appena tolta dal fuoco, amaretti, agrumi canditi; qui il tannino ammorbidisce i suoi tratti. Arriva il secondo piatto della serata. Tuffoli mancini farciti di ragù di suino e fonduta di caciocavallo ragusano. Perfetto con il 2007, interessante con il 2011. I tuffoli sono croccanti e il ragù ricorda i risvegli delle domeniche d’inverno.

1998. Vent’anni portati meravigliosamente, luminoso e appena granato. Ampi i profumi, qui anche eterei e balsamici, voluttuosi. Il sapore rimane in ogni piega della bocca, minuti inestimabili di gusto pieno.

1997. Questo vino beffa il tempo. Appena maggiorenne, ha ancora quella freschezza spavalda della giovinezza e in effetti troviamo un bell’equilibrio ma non maturità. Commuove il naso, perfetto e complesso, ampio in un ventaglio che abbraccia frutta rossa e fiori, pepe nero e cardamomo, anice, poi un lampo di smalto e lacca, profondissimo. E’ un sorso che scalda e riempie. Velluto liquido.

E quindi l’ultimo piatto, Stracotto di manzo con purea di patate al profumo di tartufo. I sensi sono in visibilio. Non avremmo potuto chiedere di più, ricerca e tradizione, amore e appartenenza. Le “Radici” che contano sono quelle di Mastroberardino e anche del Vico Astemio.

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Federica Milazzo

Nata e cresciuta nella bella Piazza Armerina (Enna), vive oggi a Giarre, nel Catanese. Maturità classica, iscritta in Economia, Sommelier AIS dal 2017, si definisce un’anima in evoluzione, poliedrica. Determinata e curiosa, forse nevrotica, a tratti romantica. Definita da amici, e non, una piccola furia con la risposta sempre pronta. Ogni esperienza l’ha segnata, modellata e formata. Così dall’amore per le arti passa a quello per i numeri, la gestione e l’organizzazione. E dalla passione per le serie tv a quella per il vino. Quest’ultimo la rapisce, raccontandole le più affascinanti storie della terra, a cui inesorabilmente appartiene, e gliene acuisce i sensi, che non possono più rinunciare alla ricerca dei profumi e dei sapori più veri. Il viaggio, in tutte le sue forme, è il fine ultimo a cui tutto è vocato. Alla ricerca del suo posto nel mondo, continua il suo percorso formativo in attesa della prossima sfida.

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