Gli zuccheri secondo Michael Moss
Nel 1894, un uomo in camice, alto e secco, calca i corridoi del Western Health Reform Institute, in Michigan. Tutti i pazienti conoscevano quel singolare personaggio, chirurgo di fama e noto puritano: dal suo arrivo, era impossibile trovare ombra di carne o dolciumi all’interno della struttura.
Fondata dai ricchi coniugi White, membri influenti della Chiesa cristiana avventista del settimo giorno, quella casa di cura era la Mecca dei salutisti per necessità. Avviliti dalla dispepsia, centinaia di panciuti americani accorrevano a bussare a quelle porte in cerca del loro salvatore: il dottor John Harvey Kellogg.
Il dottor Kellogg aveva trascorso quindici anni a distruggere la tipica alimentazione americana del mattino (costolette, pancetta, uova), inchiodando i pazienti ad una severa dieta di frutta e cereali. Pesavano, da una parte, i dettami religiosi dei fondatori della struttura, e dall’altra le convinzioni dietistiche del dottore, convinto della totale follia di quella prima colazione a base di proteine animali.
Quell’anno, durante un viaggio a Denver, Kellogg aveva appreso da un imprenditore un curioso metodo di lavorazione del grano, basato sulla riduzione in filamenti e sulla successiva cottura al vapore. Decise di replicarlo, proponendone il risultato ai propri pazienti: quella pappetta in fiocchi, mischiata al latte, pur non essendo granché, rappresentava un gusto nuovo, in una mensa così rigidamente regolata: erano nati i Sanitas Toasted Corn Flakes.
Fosse stato per il dottore, però, né ieri né oggi, milioni di bambini divorerebbero i cereali col suo cognome e migliaia di medici non trascorrerebbero interi pomeriggi a curare carie e redigere piani dietetici: Frosties, Coco Pops, Rice Crispies, per citare solo i più noti in Italia, devono la loro nascita allo spregiudicato fratello del puritano dottore, Will Kellogg, l’uomo che ebbe il coraggio di aggiungere l’odiato zucchero ai cereali.
Negli stessi anni in cui il dottor Kellogg lavorava ai suoi cereali soffiati, un farmacista di Atlanta, John Pemberton, lavora ad una bevanda antagonista della morfina, per aiutare i veterani della Guerra di Secessione a disintossicarsi. Passata dalle sapienti mani di Robert Woodruff, nel 1923, quell’anonima bevanda era diventata la Coca – Cola.
Perché un ammasso di cereali zuccherati e una miscela di acqua, zucchero e aromi riuscirono quasi subito a sbancare gli scaffali dei supermercati? Come diavolo facciamo, oggi, a ingurgitare, senza quasi rendercene conto, una media di trentadue chili di dolficificanti all’anno, ventidue cucchiaini di zucchero al giorno? Marketing, certamente, ma la verità, secondo Moss, non la conoscevano nemmeno le aziende, almeno fino agli anni recenti, quando la dinamica dei sapori iniziò ad essere presa sul serio e a Philadelphia nacque il Monell Chemical Senses Center.
Dopo anni di ricerche, la cosa fu chiara: il cervello umano ama lo zucchero, ma non tutto, e fino ad un certo limite, un vero e proprio punto G denominato bliss point, punto di beatitudine, oltre il quale qualsiasi dolcificante risulta stucchevole.
Il comico successo della Coca – Cola? La sua mediocrità di gusto, regolata da un quantitativo di zuccheri matematicamente calibrato sul bliss point: “in sostanza la Coke era così dominante grazie ad una ricetta che la rendeva poco memorabile, almeno nel senso che l’equilibrio dei gusti induceva il cervello a dare un continuo segnale di luce verde per averne ancora”.
Se in giro esiste un ottimizzatore di zuccheri quello è Howard Moskowitz, vera e propria stella dell’industria alimentare e pioniere del bliss point. Esperto di chimica, psicologia e marketing, Moskowitz salì alla ribalta negli anni Ottanta, salvando dal fallimento la Dr Pepper, la bevanda più amata da Forrest Gump e da un considerevole numero di americani: cambiando la ricetta della prima, disastrosa variante della Dr Pepper, un beverone al sapore di vaniglia e ciliegia, l’anonimo esperto dell’industria divenne una star nazionale. Con lo zucchero, dice, puoi fare quello che vuoi: migliorare il sapore degli alimenti, il colore, l’aspetto; i pilastri su cui si reggono i cibi pronti sono il gusto, l’aroma, l’aspetto e la consistenza: lo zucchero è capace di soddisfarli tutti. Basta ricercarne il perfetto equilibrio. Una ricerca, condotta tramite la propria società di White Plains, capace di costare alle aziende milioni di dollari, e di fruttargliene, di contro, miliardi. Sughi per spaghetti della Campbell, caffè della Maxwell House, biscotti Oreo, yogurt Go-Gurt, tutto passa tramite le lunghe indagini di Moskowitz, per alimentare un mercato sempre più affamato. Il nome del suo ultimo dossier di studi? Crave it! Bramalo! Un caso? Certo che no.
Vedi anche le precedenti puntate: Il triangolo della morte secondo Michael Moss, I Grassi secondo Moss, Il sale secondo Moss