Il fascino di Castiglione e del vino dell’Etna nel racconto del cav. Francesco Tornatore

Quando il vino esce dal contesto importante dei numeri è diventa racconto di una o più vite allora si capisce qual è il valore, cosa rappresenta e cosa ha rappresentato. Alimento prima ed emozione ora.

Castiglione di Sicilia viveva un’economia florida fatta di buona agricoltura ma contesti storici uniti a programmazioni più o meno corrette hanno lasciato un dato; oggi i residenti sono poco più di tremila, sul finire del secondo conflitto se ne contavano 10 mila. Le parole scorrono veloci, piene, cariche di affetto dalla bocca del Cav. Francesco Tornatore, si “sente” il grande amore per la sua terra, le tante parole dette e caricate di immagini parlano di un territorio che ha visto cambiamenti fondamentali. Dice il Cav.: “l’ultima vera pioggia qui a Castiglione l’abbiamo vista nel 1972”; penso, forse bisognerebbe ascoltare di più chi ha percorso un pezzo di vita. Le parole scorrono torrentizie, d’altronde siamo a due passi dall’Alcantara, e parlano di uve vendute a gennaio, di mediatori ripostesi e di vino e minestra calda (per quella venivano a lavorare più volentieri) dati alle maestranze. Una passione per i muretti a secco la cui realizzazione coniuga la necessità di strappare terra da coltivare alla Montagna e nel contempo un’opera di grande valore ambientale e di sapienza ingegneristica.

E così il Cav. con orgoglio mostra le sue opere, le vigne e i vini dove riesce a mettere assieme il piglio e la competenza di un imprenditore affermato che quindi “sa di conti” e l’antica passione tramandata che si allunga nelle generazioni e nella conoscenza di luoghi respirati sin dalla nascita.

I vini, i classici blend di tutte le vigne, hanno il respiro di quest’intreccio di modernità e legame con la terra. Dove il nerello mascalese dimostra che nel suo specifico caso possiamo ormai parlare di vitigno fortemente identitario in quanto riesce a mantenere la sua identificazione aromatica al di là di zone e di procedimenti enologici, ovviamente se svolti con le accortezze che ne preservino le caratteristiche. I bianchi denotano su questo versante il carattere del carricante; le vendemmie ci dicono di un vino riflessivo, vuole tempo per raccontare il suo bagaglio aromatico, ma bevuto giovane, gradisce come compagnia quel catarratto che ne smorza l’austerità e lo rende più gioviale e sbarazzino.

Ancora una volta mi riesce difficile scindere gli uomini etnei dal vino che oggi si produce, e penso ai tanti bravi investitori che sono arrivati e continuano ad arrivare che, di fatto, sono diventati “Etnei”.

Per produrre vino sull’Etna bisogna farsi coinvolgere dagli umori ed entrare nel cuore della Montagna, altrimenti si farà sicuramente un buon vino ma non sarà un vino dell’Etna.

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Camillo Privitera

Ha nobili origini, Adamo ed Eva. A 18 anni esce di casa per non tornare mai più, si iscrive a Bologna alla facoltà di Filosofia, provenendo dall’ ITIS (pericolosissima sigla). Dell’esperienza dell’istituto tecnico gli è rimasto qualche numero di telefono che usa soprattutto per farsi cambiare le lampadine. Orgogliosamente si mantiene da quando aveva 18 anni. Inizia lavorando nella riviera adriatica e lì l’università lo perde per la fortuna del mondo accademico. Lavora nei locali iniziando dal basso fino a diventare direttore e ad avere locali propri. Capisce che con volontà, studio e lavoro si può riuscire. Non apprezza i “dottori”, ma ama i Signori. Da sempre progetta e organizza riviste, concerti, eventi. Incontra il vino e son botti. Segue la trafila AIS: sommelier, degustatore, relatore e ad oggi Presidente AIS Sicilia, editore di EnoNews. Ama camminare nel solo modo che conosce e apprezza, guardando in alto per avere la più ampia visuale. E il meglio deve ancora venire.

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