Le donne del vino si raccontano: Mariacristina Oddero

Oddero7Quando si parla di grandi vini non si può certo non ricordare ed apprezzare l’eleganza del Barolo. Il Piemonte è la culla di questo divino prodotto che è diventato il simbolo enoico italiano nel panorama internazionale insieme ad altre eccellenze straordinarie come il Barbaresco, il Dolcetto d’Alba, la Barbera, il Moscato d’Asti, il Nebbiolo, o alla rinomata nocciola Tonta Gentile Trilobata delle Langhe, famose anche per la preparazione di creme squisite e di invidiati cioccolatini, o al prezioso e costosissimo Tuber Magnatum Pico (il tartufo bianco). E’ evidente, quindi, che questo territorio risulti uno dei luoghi più affascinanti e visitato dagli enonauti. Ed è proprio in questo angolo di mondo, ricco di storia, che è nata quasi due secoli addietro la viticoltura dei poderi Oddero. I vini prodotti trovarono ben presto il consenso internazionale, varcando i confini del resto del mondo ed acquistando così la nota celebrità. Per anni la cantina è stata rappresentata e gestita da uomini illustri, per ultimo Giacomo Oddero che da qualche anno ha deciso di consegnare le redini della cantina alle figlie Mariacristina e Mariavittoria.
A raccontarsi per i lettori di EnoNews è Mariacristina o meglio Cristina, come la chiama la gente.

Cosa significa per Lei seguire le orme di Suo Padre?
“Significa lavorare sodo e fare del mio meglio”.
La Vostra azienda produce vino da quasi due secoli; perché secondo Lei il Barolo ha avuto tanto successo sui mercati nazionali ed esteri?
“Credo che dipenda dal fatto che è un vino con una forte tradizione storica; si è iniziato a parlare di Barolo già nei primi decenni dell’800; una forte connotazione, riconducibile ad un solo vitigno di pregio: il Nebbiolo, che dà ottimi risultati solamente in pochissimi territori di elezione tra cui, appunto, la zona delimitata dal Disciplinare di produzione. Ha un forte legame con il territorio (i vigneti, i sorì) in cui è prodotto. Inoltre, credo che in parte abbia contribuito alla sua forza e al suo fascino anche la Storia d’Italia: con Giulia Falletti Colbert, che visse a lungo a Torino, con i Reali di Savoia, con Carlo Alberto, con il primo Ministro Camillo Benso Conte di Cavour che lo beveva al Ristorante “Al Cambio” prima delle sedute di Governo,  con la tenuta di Fontanafredda a Serralunga d’Alba, con Vittorio Emanuele II e la Bela Rosin. In sostanza, è presente in tutta la Storia d’Italia”.
Da quando la direzione dell’azienda Le è stata affidata, chi collabora insieme a Lei e con quali ruoli?
“La figlia di mia sorella Mariavittoria, Isabella, che collabora con me da diversi anni ormai. Non ci sono ruoli strettamente specifici; ci si2013-10-14 16.51.52 intercambia spesso, ma Isabella si occupa soprattutto di seguire i mercati esteri. Da giugno 2015 ha iniziato a collaborare con noi mio figlio Pietro che, dopo gli studi e dal momento che “deve farsi le ossa”, segue indifferentemente ogni settore. Ci tengo a dire che, ormai da anni, lavora con noi un gruppo molto coeso e fidelizzato di validi collaboratori, dei quali ho molta stima: Sergio Blengio, Luca Veglio, Gabriella Rosso ed altri”.
Le capita di chiedere consigli a Suo padre nella gestione aziendale?
“Certo, spesso. Sono richieste su temi generali o su scelte etiche. Ascoltiamo assai frequentemente i suoi racconti del passato, le difficoltà incontrate, le scelte fatte non solo dal punto di vista aziendale ma anche per quanto riguarda le sue diverse attività nella provincia di Cuneo; nel corso degli anni sono state davvero tante e ne siamo orgogliosi”.
Sono stati introdotti cambiamenti, innovazioni da quando ha iniziato a interessarsi in prima persona della Sua azienda?
“Si, ma si tratta non di innovazioni sostanziali o rivoluzioni tecnologiche, bensì di piccoli cambiamenti all’insegna della maggior cura delle varie scelte lavorative sia nei vigneti sia in cantina. Maggior cura e maggior consapevolezza di quello che si fa. Nel vigneto, dal 2008, abbiamo iniziato con il metodo biologico ed ora tutta la varietà Nebbiolo è certificata; a breve lo diventeranno anche le altre. In tutti i vigneti aziendali non usiamo più diserbanti da anni. Abbiamo ampliato le strutture produttive e di stoccaggio, abbiamo inserito il fotovoltaico, riutilizziamo l’acqua piovana; insomma, tutti noi facciamo del nostro meglio secondo un disegno predefinito di qualità della produzione e di rispetto dell’ambiente. Dal 2014 il nostro territorio è Patrimonio Unesco, quindi il nostro impegno di cittadini, oltre che di viticoltori, è ancora maggiore”.
Il Barolo è un grande vino, austero e non facile da produrre; potremmo dire un vino per soli uomini. Com’è stato visto il Suo ingresso da protagonista in un mondo che per qualche secolo è   stato monopolio maschile?
“Il Barolo deve la sua origine ad una donna intelligente, generosa, amica di Silvio Pellico e che non amava apparire: Giulia Falletti Colbert, sposa di Tancredi Falletti nel 1806, vissuta a Barolo nel Castello e possidente di vigneti e cantine a Nebbiolo. Fu lei, e non i tanti uomini che le giravano intorno, a capire l’importanza e le potenzialità del vitigno Nebbiolo, e a modificare il modo di vinificazione in voga allora, che voleva langheil Barolo dolce. Da quegli anni partì una piccola rivoluzione che modificò ampiamente le sorti di questo grande vino. Che il Barolo sia un vino austero e solo per uomini è un luogo comune vetero maschilista di cui si nutre ancora la vecchia enologia italiana e langarola (almeno quelli più vecchi di me; le nuove generazioni lasciano meglio sperare…), secondo cui i vini dolci sono i soli vini che piacciono alle donne! Il Barolo purtroppo è stato per anni incrostato da luoghi comuni del passato, difficili da spazzare via (lo constato spesso nella nostra cantina con i consumatori italiani; gli stranieri sono molto più open minded): austero, difficile, da bere solo nelle occasioni speciali, solo con certi piatti, cucinati oggi raramente, insomma un vino da lasciare lì. Niente di più falso: richiede un palato abbastanza educato, è vero, ma è un vino piacevole, ricco di sfumature, che offre la possibilità di sondare un vasto campo di sensazioni olfattive e gustative, che ti mette alla prova, ti permette di fare confronti, di giocare con annate, terreni, esposizioni e macerazioni più lunghe o più corte. Il Barolo è un felino intelligente che non si manifesta subito a tutti, ma solo se sai stare al suo gioco. Oggi le nuove generazioni come Isabella e altre sue amiche che lavorano in questo settore sono più facilitate; io lo sono stata di meno”.
Può descrivere i Suoi vini con tre aggettivi, motivandone la scelta?
“Profondamente figli del terreno dove sono cresciuti, figli dell’annata che li ha cullati, ed eleganti e verticali. Cerco di produrre vini che siano fortemente legati ai suoli ed all’ambiente dove le uve sono prodotte, nei vigneti che rappresentano habitat diversi per microclima, terreno, esposizione solare che sono la vera grande ricchezza delle nostre Langhe, soprattutto delle colline del Barolo e del Barbaresco; legati all’annata che li ha prodotti, quindi alle temperature più fresche di certi millesimi o alle estati più tiepide o assolate di certi altri. Eleganti, mai ridondanti, né muscolosi, né legnosi, tantomeno dolciastri al limite della boria e con invece un tannino verticale, lungo, persistente, raffinato, volto verso l’infinito”.
Se non si fosse occupata di vino, cosa le sarebbe piaciuto fare?il-castello-di-Barolo
“Mi sarei occupata di colori ed avrei desiderato progettare i colori delle stoffe per arredamento o per la creazione di abiti. Avrei anche fatto volentieri la stilista o l’arredatrice o meglio ancora la costumista cinematografica. Invece il mio percorso è stato diverso, ho conseguito, dopo il liceo classico, la laurea in Agraria presso l’Università degli Studi di Torino ed una specializzazione in Viticoltura ed Enologia biennale”.
Pensa che le donne che si interessano al mondo enoico abbiano un approccio diverso rispetto agli uomini?
“Le donne in generale sono attente ai particolari, soprattutto ai particolari di qualità, precise, vanno diritte per la loro strada, assecondando il loro progetto aziendale e non mollano”.
A parte i Suoi vini, quali altri vini preferisce?
“Mi piacciono sia i vini bianchi sia i rossi; apprezzo i vini minerali francesi, il Riesling dell’Alsazia, i grandi Chardonnay di Borgogna, i grandi Pinot Noir della stessa regione, i bianchi altoatesini, friulani, veneti e delle Marche, i vini delle nere sabbie dell’Etna, il Nebbiolo della Valtellina, così come apprezzo il Barolo, il Barbaresco ed i vini delle nostre Langhe di altri produttori di cui ho stima. Dimenticavo i vini metodo classico e lo Champagne”.
Con quale vino farebbe un brindisi?
“Farei un brindisi con qualsiasi ottimo vino che, in quel preciso momento, mi ispiri”.

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Agata Faro

Ha seguito il richiamo della sua passione attraverso la serie di corsi per conseguire gli attestati dei vari livelli di sommelier AIS, fino al riconoscimento dell’abilitazione professionale. Iscritta dal 2012 nell’elenco generale degli esperti degustatori vini D.O., presso l’Assessorato Regionale dell’Agricoltura dello Sviluppo Rurale e della Pesca Mediterranea, il suo motto è “Degustare in viaggio”. Ritiene, infatti, che il modo migliore per comprende un vino e la storia di chi lo produce è quello di vivere il territorio. Dal 2011 collabora con EnoNews raccontando di viaggi, degustazioni, e di buona cucina.

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